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Curante e curato, tra comunicazione e linguaggi della performance

La comunicazione non è soltanto un semplice processo di trasmissione dell'informazione, ma un vero e proprio atto di cooperazione in cui due o più individui “costruiscono insieme” una verità condivisa. È nella comunicazione, infatti, che si apre, la relazione con l’altro. Ciò vale sempre, anche quando ci si trova nella delicata dimensione dell'esistenza (che coinvolge spesso più persone) denominata "relazione di cura". È nostra convinzione che, da qualunque angolatura si affronti la tematica, debba sempre rimanere in primo piano la necessità che una buona comunicazione tra curanti e curati divenga l'anello forte del trattamento terapeutico.

Se una buona pratica comunicativa può significare il più delle volte un miglioramento delle condizioni di vita delle persone - a volte determinando un cambiamento positivo nella comprensione delle cose e affrancando quell'ansia tipica del dialogo quando a farla da padrona sono il "non detto" o un distratto silenzio - talvolta essa si rivela un semplice ma prezioso ed essenziale conforto, un alimento della dignità umana anche quando la vita sta per spegnersi. Saper comunicare e saper ascoltare rappresentano infatti una coppia di competenze che ogni curante dovrebbe allenare continuamente nell'arco della propria vita professionale. Questa diade rappresenta il segno distintivo di quella grande rivoluzione definita "umanizzazione della medicina" che dovrebbe coinvolgere tutta la rete degli attori che vivono la scena della cura.

Siamo convinti che l’incontro tra curante e curato sia un confronto prezioso tra due “esperti”: se il professionista della salute è infatti la persona specialista su tutto ciò che concerne la malattia, il malato è l’unico competente a dire come la vive e la soffre, il miglior esperto di se stesso, più di ciò che è in grado di esprimere.

Le prassi comunicative e di informazione rappresentano dunque un orizzonte di indagine determinante quando si parla di malattia. E’ essenziale che un'informazione esatta, veritiera e temporalmente articolata diventi parte fondamentale di ogni buona prassi assistenziale, dedicando il tempo giusto e adeguato per comunicare i dati clinici, illustrare la possibile prognosi e le opzioni di trattamento, potendo in tal modo stabilire preventivamente quanto il paziente sia in grado di recepire, o, ancora di più, se e quanto egli “voglia” sapere.

Ma, obiettivo e scopo di questo scritto non è tanto quello di descrivere l’impatto psicologico e sociale della malattia sul paziente, sulla sua famiglia e sull’equipe curante, dei quali sappiamo già tutto, ma principalmente di individuare ed analizzare i problemi di comunicazione che su questo tema si aprono, ipotizzando che esistano metodologie emergenti, altamente idonee a promuovere e consolidare un buon rapporto tra il medico ed il paziente, offrendo quindi, nel contempo, migliore possibilità di cura.

È noto che le difficoltà nelle modalità e negli strumenti della comunicazione creano nei soggetti curanti la sensazione di trovarsi dinanzi ad uno scenario frammentato e di difficile comprensione, nel quale emerge tutta l’importanza del contesto, quindi del tempo e della competenza comunicativa. Dalla consapevolezza che “l’arte” della comunicazione costituisce un punto cardinale delle relazioni tra gli attori principali (curante, curato e la sua famiglia), origina la necessità di un’indagine sul potenziale ruolo positivo e di promozione del benessere offerto da alcune espressioni artistiche – musica, danza e teatro – definite generalmente “arti performative”.

Questo scritto, non potendo avere respiro analitico, si prefigge piuttosto compiti di sollecitazione verso un'area di studio - quella che idealmente sponsorizza un utile confronto-incontro tra comunità medico-scientifica e comunità umanistica - che non ha ancora fatto registrare tra tutti gli "attori" in scena il giusto interesse. Anticipiamo qui, comunque, che la (segreta) finalità ultima della nostra riflessione è quella di porre in rilievo la validità ed il guadagno, in termini di benessere complessivo verso la coppia curati/curanti, determinati da un uso consapevole e mirato dell’arte performativa.

Musica, danza e teatro sono stati poc'anzi citati non a caso, ma, soprattutto, per i loro profili peculiari, i quali utilizzano nell’interazione umana sia la presenza corporea sia l’azione, impiegando quindi in campo tutte le forme della comunicazione sociale: gesto, parola, suono, movimento.

I diversi linguaggi della performance, in campo artistico, seguono e propongono percorsi autonomi (talvolta esercitando una vera e propria funzione “terapeutica”: di qui la dizione in stretta relazione con il termine –terapia) ma hanno un punto di contatto che diviene il loro elemento fondamentale ed unificante: l’utilizzo di un linguaggio non verbale e altamente simbolico. Questa primaria forma di comunicazione presenta un canale, in entrata e in uscita, di emozioni, anche profonde, normalmente filtrate a livello cosciente, ma bloccate ed inibite nei casi di sofferenza emotiva; il linguaggio simbolico, inoltre, notoriamente può essere in grado di superare le barriere della razionalità e di entrare in contatto con la parte più profonda dell’uomo, l’inconscio.

Un uso accorto e consapevole di queste pratiche artistiche - pensiamo ad esempio a specifiche occasioni formative rivolte a tutte le categorie professionali che si dedicano alla cura delle persone - riteniamo che possa generare una maggiore consapevolezza delle proprie competenze relazionali e che quindi possa essere di aiuto anche a migliorare la loro comunicazione con i pazienti, innescando un interessante processo di empowerment. Tutto ciò perché le arti performative permettono di esplorare efficacemente gli aspetti del sé personale e professionale, approfondendo le principali forme in cui si concretizza la relazione con l’altro: contatto, conflitto, controllo, separazione, la corporeità come veicolo di emozioni e vissuti. Tutte dimensioni, queste, dell’interazione umana, che coinvolgono direttamente e pienamente la comunicazione tra curante e curato.

I diversi linguaggi qui citati rappresentano infatti, a nostro giudizio, utili strumenti che possono consentire di migliorare la conoscenza del sé mediante le risorse che la relazione offre. Inoltre, essi generano un valido sostegno al paziente nel percepire con chiarezza cosa sta accadendo alla complessità della propria persona, sia dal punto di vista sanitario che profondamente emotivo.

L’approccio terapeutico con questa tipologia di arte (nelle sue diverse articolazioni) si basa sul consistente grado di consapevolezza che il soggetto in terapia può raggiungere attraverso la percezione dei propri limiti. Tale consapevolezza può consentire un netto approfondimento della percezione di sé e un successivo miglioramento della propria qualità di vita. Il percorso consiste nell’acquisizione di risorse attraverso cui potenziare le proprie capacità di stare nel mondo con - prendendo ciò che si incontra. Potenziare tali competenze comunicative nel soggetto, significa mettere in moto un processo di empowerment in grado, nella maggior parte dei casi, di incrementare notevolmente la capacità della persona di capire e capirsi. Attraverso l’ascolto delle proprie sensazioni e un intenso contatto con il proprio mondo emotivo, questo tipo di metodologia fondata su un utilizzo funzionale dell’approccio artistico, offre numerose occasioni attraverso cui sviluppare le competenze comunicative e relazionali della persona. Per il paziente, qualunque sia la propria condizione clinica, un primo risultato di tale investimento può consistere nel riconoscersi capace di comunicare in termini efficaci e corretti, dedicando grande attenzione alla condizione emotiva anche di colui che riceve l’informazione. Sono frequenti i casi in cui i pazienti, in fase di shock per le notizie appena apprese sulla propria condizione, affermano di avere numerose difficoltà non solo nel comprendere completamente quanto gli viene spiegato dal medico o dal professionista che lo ha in cura, ma anche di riportare all’interno del proprio nucleo familiare quel che sta accadendogli dal punto di vista clinico o psicologico.

L’arte performativa è potenzialmente un importante strumento di lavoro sia in campo sanitario che in numerosi altri campi, non ultimo quello della vita vissuta, perché rivolto e destinato alla persona, al suo mondo interiore e ai contesti sociali in cui essa vive.

Questa metodologia consente una crescita tanto nel paziente quanto nel medico (e, in generale, nell’operatore socio-sanitario), il quale parla, ascolta e comunica con il paziente stesso.

L’operatore consapevole della propria mission riconosce infatti anche il valore curativo che le sue stesse parole hanno. Uno psicologo non deve necessariamente essere un “artista” per condurre bene il proprio lavoro, tuttavia se questi comprende le potenzialità e la versatilità delle sofisticate strade della comunicazione che le diverse arti - musica, teatro, danza prima di tutto - percorrono nella relazione con l'altro, mediante i singoli linguaggi performativi, tutto diventerà più utile per la sua professione.

Se avrà compreso che la musica non è fatta solo di note da suonare o cantare, ma anche di
musicalità – nella pronuncia delle parole, nell'utilizzo della voce quando si chiama qualcuno, ecc. - allora, potrà usare con maggiore competenza la propria voce nell'incontro con l'altro, sia esso operatore-collega o paziente.

Se avrà capito che il linguaggio dei gesti (che è alla base di ogni performance teatrale) è, talvolta, più importante e determinante di quello verbale, allora crediamo che arriverà prima di altri a cogliere il fastidio, il malessere o l'ansia di chi gli sta accanto. Ed anche lo studio del movimento (che è qualcosa di più e di diverso del semplice gesto), gioco armonico che ci avvicina o ci allontana dalle persone nella quotidianità, ed a volte diventa vera e propria danza stilizzata, è una modalità utilissima per vedere e comprendere come si orienta ogni individuo nello spazio.

Ecco, questi sono piccoli segreti, da meditare ed approfondire affinché chi lavora nella cura e per la cura degli individui arricchisca sempre più il suo mestiere con la sostanza base di ogni arte e lo faccia diventare una vera "arte della relazione".

Mi sia consentito, in conclusione di questo scritto, un inciso biografico e l'abbandono del freddo stile saggistico per un tono più confidenziale. Sono arrivata dal Brasile con un grande bagaglio di conoscenze, con la mia esperienza professionale acquisita durante anni di formazione e una indicibile voglia di fare il mio lavoro in questo Paese.

Pensavo, una volta arrivata in Italia, che tutto fosse perfetto, che occorresse solo iniziare, ma non era così. Avevo ancora un problema da risolvere, quello della comunicazione.

Ebbene, con lo studio approfondito del gesto e della lingua del corpo sono riuscita, nel tempo, a sviluppare nuove competenze comunicative. Per giungere a questo stadio ho dovuto attingere alle mie radici, le quali mi hanno consentito di trovare un linguaggio condiviso, prima di tutto corporeo.

Nella mia valigia di terapeuta ora ho alcuni strumenti in più: il gesto, il canto, il teatro, la danza.

 

Ana Rosa Ferreira Ramos - Psicologa